sabato 2 febbraio 2013

"e... arriva l'autora" (34)


34)
    Ricevette daLuisa dei documenti da firmare per il divorzio con una lettera affettuosa: ilsuo rapporto con Pietro andava a gonfie vele e gli augurava buon lavoro.
    Comeconsigliatogli dal missionario si fece accompagnare da Victor e Cecil ai qualisi aggiunsero Marco ed Alfredo, prima alla diga e poi allo Zambesi. Aveva indotazione una Range Rover, macchina adattissima per i percorsi locali in quantomolte strade erano polverose e piene di buche. Anche durante questa trasfertaebbe una grande emozione perché incontrarono un branco di elefanti che con la loroflemma attraversarono loro la strada. Erano una dozzina di esemplari più trecuccioli che con calma e maestosità si recavano ad una vicina palude. Molti diessi mancavano di zanne. I piccoli viaggiavano vicini alle loro mamme che ognitanto con la loro proboscide li accarezzavano o, se si allontanavano un po', liriavvicinavano. Certamente ben diversa era la visione nel vederne tanti, tuttiinsieme, a pochissima distanza, da quella avuta negli zoo. Qui erano nel loroambiente naturale, padroni assoluti del territorio e l'uomo era un semplicediversivo e non il carceriere.
    Ripresero ilcammino e per prima visitarono la diga di Kariba. Fu costruita per imbrigliarele acque dello Zambesi al fine di produrre l'elettricità necessaria sia per loZimbabwe che per lo Zambia. Di dighe Mattia ne aveva viste molte e questa nongli fece una particolare impressione.
    L'orrido delloZambesi era uno dei tanti grandiosi spettacoli naturali ed affascinanti edaltrettanto interessante era la gola che divideva Zambia e Zimbabwe: qui ilfiume si era scavato una stretta gola, una fossa profonda che tagliavanettamente una massa granitica di evidente origine vulcanica.
    Durante iltragitto di ritorno Cecil gli disse:
    " Dottore,dovrebbe visitare anche le cascate Vittoria. Se lo desidera un altro giornol'accompagnamo."
    Mattia rimasesilenzioso perché alla parola cascate ebbe la visione di una fanciulla strettafra le sue braccia che, commossa, ammirava un arcobaleno. Notò l'africano chelo guardava interrogativamente e:
    " Sì,grazie, molto volentieri."
    Quella sera,prima di coricarsi, annotò sul suo diario ciò che aveva visto e terminò conqueste parole: 'vedo e mi entusiasmo al cinquanta per cento perché l'altrocinquanta, che mi ha insegnato a vedere le cose in un dato modo, non guarda piùcon me' .
    Le ricerchecontinuavano e Mattia dovette recarsi nella capitale per acquistare materialeche necessitava al laboratorio. Si trattenne solo un giorno e fu felice diritornare nella sua oasi tropicale. In città aveva fatto acquisti per conto diDon Franco che la sera dopo venne a cena da loro con Don Antonio.
    Dopo cena,mentre gli altri giocavano a carte, Mattia e padre Franco uscirono sotto alportico. Era la solita splendida notte africana con un particolare profumonell'aria. Ogni tanto si udiva il verso di qualche animale che rompeva ilsilenzio assoluto. Nessuno dei due parlava e fu il prete a chiedergli:
    " Tuttobene ad Harare? Trovato quello che ti necessitava?"
    " Sì,tutto e spero che quello che mi hai chiesto sia quello che ti ho portato."
    " Saràsenz'altro così e ti prego di darmi il conto."
    " Faremo iconti un'altra volta. Questa sera non voglio parlar di soldi. Rovineremmoquesta magnifica serata."
    " Noncercare scuse! Sappi che se non mi dici quanto ti devo, non ritiro nulla."
    " Ma ioero convinto che i preti dovessero sempre essere pazienti e mai prepotenti erispettassero l'esigenze dei fedeli."
    Don Francoscoppiò a ridere:
    " Seiproprio una bella sagoma a definirti fedele. Non ho mai avuto il piacere divederti ad una mia messa."
    " Ma iosono un fedele!"
    " Fedele achi e a che cosa?"
    Mattia nonrispose.
    "Permettimi di farti una domanda" chiese Don Franco "e puoi benissimonon rispondermi. Ma tu non hai nessuno che ti é caro in Italia? Non ti ho maisentito parlare di qualcuno che ti manchi."
    Dopo un po'Mattia rispose:
    " Non hoproprio nessuno."
    " Ma comeé possibile? In questi mesi che ti ho frequentato e che spero esserti diventatoamico, ho potuto conoscere la tua bontà, generosità e disponibilità. Come puòessere che un uomo come te non abbia un affetto? Non ci posso credere."
    In quella pace, inquella particolare atmosfera, Mattia sentì il bisogno di aprire il suo cuore edalleggerire la sua anima: parlò a Don Franco considerandolo amico e confessoree raccontò tutta la sua vita fino al momento che Giada lo aveva messo allaporta. Il prete non lo interruppe mai perché comprese la sofferenza dell'uomo enon era certo il caso di fargli il predicozzo, cosa tra l'altro che non facevamai perché aveva un concetto tutto suo, sulla carità cristiana.            
    Attese cheMattia finisse di parlare e:
    " Se haisbagliato, mi sembra che sia pari la tua sofferenza. Alle volte si commettonoerrori di cui noi stessi non ci rendiamo conto e quando ci accorgiamo é giàtroppo tardi. Sei sicuro che questa Giada non ti abbia già perdonato? Se quelloche mi hai raccontato di lei risponde a verità, credo che con il tempo ti potràscusare: il tempo lenisce i dolori, cicatrizza le ferite e resta l'unicotoccasana. Ti ringrazio di avere avuto fiducia in me e di avermi aperto il tuocuore e stai tranquillo che dirò una preghiera speciale al buon Dio perché,senza il Suo aiuto, siamo tutti persi."
    Mattia nonrispose ma diede all'amico una vigorosa stretta di mano.   
    Don Franco nonriuscì a farsi dire quanto gli doveva e, considerando la partita persa, ritornòalla missione con lo scatolone.
    Ritiratosi incamera Mattia si sentiva molto più leggero e le parole del prete avevano fattorinascere in lui un filo di speranza e ad una possibilità che non aveva mai piùpresa in considerazione.


    Verso la zonapiù ad ovest c'era la tribù dei Boscimani di cui Don Franco gli aveva parlatoed alla prima occasione lo condusse a conoscerli.
    Al contrariodegli Zulù-Tabele, questi erano di costituzione più esile. Le donne quasi tuttea seno scoperto ed i molti bambini completamente nudi; solo gli uominiportavano un perizoma. Tutti a capelli cortissimi o rasati. Era una razza invia d'estinzione e, come tutti gli altri indigeni, attaccatissima alle suetradizioni ma, contrariamente agli altri Boscimani che sono nomadi, questivivevano fissi in capanne di paglia. Popolo mite che ancora cacciava con frecceavvelenate. Girarono un poco per il villaggio dove anche qui Don Franco avevaportato medicine, la suora francese curava chi ne aveva bisogno e Mattia eracarico di caramelle.
    Mattia, stupitodi vedere tantissimi bambini sui rami di un gigantesco Baobab, chiese all'amicoche cosa ci facessero.
    " Stannomangiando il miele che le api depositano nei punti cavi della corteccia e lorone sono golosissimi. Non hanno altri svaghi e stanno magari tutto il giorno suirami: per loro é un passatempo."
    Era unospettacolo vedere tutti questi bimbi sull'enorme pianta, stagliarsi sullosfondo di un cielo azzurro di una tonalità così intensa che Mattia aveva vistosolo in Africa.
    Durante ilritorno il prete gli disse:
    " Ti avevopromesso di lasciarti sorpreso ed é venuto il momento."
    Fermò la jeep davantiad una grotta ed entrarono. Mostrò a Mattia l'interno
completamente dipinto, raffiguranti scene di caccia, di guerra, secondola mitologia degli indigeni. Tutti i disegni erano ben fatti, con buone nozionidi prospettiva e ben conservati.
    " Secondogli studiosi" gli spiegò il prete "i primi dipinti risalgono alPaleolitico e gli ultimi ai primi del novecento. Se fossimo in Europa, questosarebbe diventato un museo, al contrario, qui quasi nessuno li conosce."
    " E'veramente una terra affascinante!" esclamò Mattia " Comincio acomprendere che cosa sia il famoso 'mal d'Africa'. "

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