venerdì 25 gennaio 2013

12° Capitolo "e... arriva l'aurora" (23)


12

23)
    L'aereo partito dalla Malpensa, atterrò aHarare, capitale dello Zimbabwe e da qui, con un’auto che era venuta aprenderlo, si diresse verso il laboratorio.
    Attraversandola città Mattia fu colpito dalla grandezza e dallo stile che poteva benissimofarla scambiare per una qualsiasi città europea. Grandi strade, edificimoderni, traffico ordinato. Era a quasi 1500 metri d’altitudine ed il climacome quello della nostra primavera avanzata. La popolazione composta sia daneri che da bianchi.
    Dopo circaquattro ore di viaggio, su strade accettabili, passando attraverso varie terree poca popolazione, fra savana e zona ricca di pascoli, arrivarono adestinazione e precisamente quasi al confine con lo Zambia, poco distante dalfiume Zambesi.
    Il laboratorio,unica costruzione della zona, era in un moderno edificio e, non lontano,s'intravedeva la foresta tropicale.
    Vennero subitoad accoglierlo undici persone sorridenti: il biologo austriaco Hans Schwartzche, dopo avergli passato le consegne sarebbe ripartito; un ricercatoreitaliano di Varese, Marco Righi, che sarebbe stato il suo direttocollaboratore; un chimico francese, François Leclaire; un biologo italiano diPadova, Alfredo Giommi e da sette africani tutti con camice bianco di cui,nelle presentazioni, Mattia non comprese i nomi. La lingua con la quale cis’intendeva era l'inglese, idioma che anche i locali parlavano benissimo, perchéla Rhodesia era stata un protettorato britannico.
    Dopo lepresentazioni che a Mattia sembrarono molto calorose, fu accompagnato nella suacamera dove rimase sbalordito: si trattava di un vero appartamento composto dasoggiorno/studio, camera da letto, bagno e non aveva nulla da invidiare aqualsiasi albergo di categoria superiore. Il posto dove aveva vissuto inAmazzonia era veramente un brutto ricordo.
    Dalla docciascendeva una gradevole acqua tiepida e, mentre s'insaponava, Mattia pensò cheforse era il posto adatto per ritrovare la pace interna.
    Alle diciannovefu servita la cena e Mattia conobbe altri africani che, evidentemente, avevanomansioni d’inservienti. Fu infine la volta del cuoco che venne a presentarsi eMattia scoprì, con molto piacere, che era un italiano di Vicenza, Amedeo Zonin:anche il cibo sarebbe stato di suo gradimento.
    Il locale dovesi mangiava era grande e luminoso ed erano apparecchiati tavolini da quattro eda sei. In un tavolo si sedettero Mattia, Schwartz, Righi e Leclaire mentrenegli altri Giommi e gli africani. Serviva a tavola un ragazzone indigeno cheindossava sopra a dei bermuda un gilet rosso. Aveva enormi occhi neri e dentibianchissimi che, continuando a sorridere, metteva in mostra.
Chiacchierando durante la cena e cercando di conoscersi, Mattia ebbel'impressione che l'austriaco non godesse la simpatia degli altri e che fra luied i suoi collaboratori non ci fosse feeling.
Dopo una notte dove dormì profondamente come non gli capitava da mesi,Mattia fu pronto a ricevere le consegne dallo Schwartz che non vedeva l'ora dipartire. Il laboratorio era attrezzatissimo e dalla foresta vicina attingevanocontinuamente materie prime per le loro ricerche. Ebbe una buona impressione ditutti gli altri che furono gentili e molto disponibili a spiegargli tuttoquello che chiedeva.
    Passati tregiorni, nei quali non si era mai allontanato dal laboratorio se non per fare unpo' di corsa e ginnastica sul terreno circostante, Mattia decise di fare laprima incursione nella foresta che si raggiungeva a piedi in trenta minuti. Lastessa mattina l'austriaco ripartì fra la freddezza generale. L'unico asalutarlo sorridente e con una calorosa stretta di mano fu Mattia.
    Nella forestalo accompagnarono Marco, Alfredo ed i sette africani che si chiamavano: Victor,Cecil, Abraham, Muthi, Natopi, Joseph, Jorge che avevano tutti conseguito lelauree chi nello Zimbabwe, chi in Inghilterra; erano ben inseriti nel gruppo ederano intelligenti ed educati.
    La flora eravaria e ricca di Baobab, Mogano, Eucalipto, Albero della Gomma, Teck e Rugeniache poteva essere alta fino a ventiquattro metri.
    Dopo due ore dicammino arrivarono in un punto dove, a mo' di palafitta, c'era una costruzionedi legno che era il loro punto base nella foresta. Qui conobbe altri duegiovani: il toscano Carlo Biondi ed il mulatto Ferdinando Montez, aiutati datre ragazzi indigeni. Stavano lavorando e subito mostrarono al nuovo direttorequello che facevano ed a che punto erano le loro ricerche. A pranzo uno degliafricani aprì una grossa cesta e distribuì il pranzo concernente in fette dipane che Amedeo aveva imbottito con formaggio caprino di produzione locale,carne e frittata, parecchie arance succosissime e saporite di cui la regioneera grande produttrice.
    Durante ilrientro alla base Marco gli disse che tutti erano contenti del suo arrivo inAfrica.
    " C'eraqualcosa che non andava in Schwartz?" gli chiese Mattia " Non misembravate molto affiatati."
    " Non erapossibile affiatarsi con quello." Intervenne il francese " Avevaforse creduto di venire all'Hilton di New York e non capiva che qui siamo inAfrica. Si lamentava in continuazione del clima, del cibo, del lavoro e sispaventava a morte se solo vedeva volare una mosca. In più, del suo lavoro, noncapiva nulla e, quando avevamo bisogno di lui, si eclissava. Era capace diandare a Harare e trattenersi una settimana. Noi non avevamo qui unresponsabile ma un irresponsabile!"
" Tutto vero, dottor Bonini." Soggiunse Marco " Se nonavesse chiesto lui di andarsene, non so con quale scusa, ci saremmo fattirichiamare noi."
    " Dovevaandare in Amazzonia" disse Mattia "e vedere in quali condizioni silavora, qui sembra di essere in vacanza!"
    Ebbe inizio cosìil soggiorno africano di Mattia e, dopo poco tempo, si era stabilito con tuttiun cordiale rapporto e le ricerche proseguivano dando i risultati di questolavoro d’équipe.
    Mattia lavoravaanche dodici ore al giorno fra il laboratorio e la foresta ed era tantoconcentrato che la sua mente non poteva pensare ad altro ma alla sera, se glicapitava di restar solo fumando od ammirando la volta celeste, il viso diGiada, il suo sorriso, il suo corpo erano vicini a lui.

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